Nell'incerta e traballante vita di un expat, da giugno ad agosto sono i mesi dei saluti, delle inesorabili separazioni da quelle persone che hai conosciuto e che sono entrate un po' più profondamente nella tua vita, volente o nolente.
Quando vivi fuori, gli amici e conoscenti vanno e vengono, pochi si fermano per sempre nel tuo cuore. Ci si fa l'abitudine e, almeno io, ho imparato a mettere un'armatura e a cercare di affezionarmi poco. Non sempre ci si riesce.
Quest'anno ho salutato Nuria, colei che aveva cambiato del tutto la mia vita a Delhi, presentandomi al gruppo di pazze scatenate di lingua spagnola che sono diventate il centro di quasi ogni attività, scorribanda e soluzione a problemi quotidiani. Ti serve un idraulico, un medico, un prodotto o un qualsivoglia consiglio? Chiedi a loro, in pochi minuti il tam tam si attiva e avrai ciò che cerchi nella giungla di New Delhi. E se per caso stai male, non dubitare che qualcuno verrà a trovarti, o ti offrirà aiuto per qualsiasi cosa o un gran cerchio di preghiere e pensieri posistivi si strinerà intorno a te.
Con Nuria si era istaurato un bellissimo rapporto di stima e fiducia reciproche, cosa che non mi accade spesso, perchè per autoprotezione tendo a ergere muri tra me e la gente.
Ammetto che quando l'ho salutata, qualche lacrima è caduta, ma ormai ci ho fatto l'abitudine. Rimane il contatto su facebook e la promessa di rivedersi a Madrid.
Poi è toccato a Lolo.
Lolo ha quasi otto anni e non ha difese o muri, ma come me alla stessa età e ancora oggi, ha estrema difficoltà a istaurare rapporti più profondi di un "ciao come va" detto nel corridoio della scuola. La spiegazione è che lui ha paura dell'abbandono e della separazione, per un trauma durissimo avuto tre anni fa, che ancora lo blocca affettivamente.
Durante l'ultimo anno scolastico, però, aveva creato piano piano, poco a poco, un gran legame con George, un suo compagno di classe. Negli ultimi mesi George e Lolo si vedevano tutti i giorni, dormivano a turno a l'uno a casa dell'altro, noi lo avevamo quasi adottato e il loro rapporto era simile a quello di due fratelli inseparabili.
George e Lolo si sono salutati sulla porta di casa mercoledì scorso con un lungo, silenzioso e commovente abbraccio.
-Non voglio avere più amici- è la frase che ha detto, una volta chiusa la porta.
-Ma Lolo, gli amici vanno e vengono e poi si rincontrano. Basta solo matenere i contatti.
Silenzio. Gli occhi neri, l'espressione di finto arrabbiato di chi dentro soffre.
Oggi 4 settembre, un nuovo anno scolastico comincia. Tra i ricordi di chi è partito, la curiosità verso chi è arrivato e il bentrovato a chi rimane.
Sono sicura che prima o poi spunterà un nuovo amico che condividerà con noi la cena del venerdì sera, molti pomeriggi e altre avventure.
Arriverà il giorno in cui sarà il nostro turno di partire. E ricominciare da zero chissà dove. Altri posti, altre persone, nuove valigie, arrivi e partenze.
A volte pesno che la vita sedentaria è più facile di quella da "nomadi", almeno in quanto a stabilità affettiva.
Mi chiedo spesso come sarebbe la mia vita se non mi fossi mai allontanata dall'Italia.
Mi rispondo da sola, con un sorriso. Senza le esperienze vissute e persone che sono arrivate e poi partite, senza averle mai incrociate nella vita, non sarei quello che sono oggi, malgrado le lacrime e i muri.
L'Italia posso sempre portarla con me, ricreandone i sapori in cucina, per esempio.
Come questo Migliaccio napoletano, con la ricetta di papà.
Per la Giornata Nazionale del Semolino, sul Calendario del Cibo Italiano.
Il Migliaccio Napoletano
Il Migliaccio, detto anche torta di Semolino o Sfogliata, è un dolce tipico campano, che tradizionalmente si preparara a Carnevale. In origine, era un pane rustico che si preparava con farina di miglio grezzo e sangue di maiale, ingredienti poverissimi che servivano come carburante ai contadini per sopportare il lavoro nelle campagne.
Alla fine del '700 il sangue di maiale fu sostituito dallo zucchero e dalla cannella o bucce di agrumi, il miglio dal semolino, e il Migliaccio si trasformò nel dolce tipico e semplice che conosciamo oggi.
Con il tempo, la ricetta è ulteriormente cambiata e le versioni più moderne contengono anche la ricotta e a volte il cedro candito, in un impasto che ricorda molto il ripieno della pastiera o delle sfogliatelle.
Questa che segue è la ricetta di casa, che ha come aggiunta l'uva passa, ma è priva di ricotta.
Per uno stampo di 20 cm
100 g di semolino
500 ml d'acqua
100 g di zucchero semolato
2 uova
buccia grattuggiata di mezzo limone
buccia grattuggiata di mezza arancia
latte, quanto basta
una manciata abbondante di uva passa
zucchero a velo, a piacere
Portare l'acqua a ebollizione e versarvi il semolino a pioggia. Cuocere per cinque minuti mescolando continuamente, poi, versare il semolino in una ciotola e lasciarlo raffreddare, mescolandolo di tanto in tanto.
Una volta raffreddato, aggiungere le uova, uno ad uno, lo zucchero, le bucce di limone e arancia e quanto latte sia necessario per ottenere una consistenza morbida, come una crema pasticciera molto soda. Aggiungere l'uvetta e amalgamare.
Una volta raffreddato, aggiungere le uova, uno ad uno, lo zucchero, le bucce di limone e arancia e quanto latte sia necessario per ottenere una consistenza morbida, come una crema pasticciera molto soda. Aggiungere l'uvetta e amalgamare.
Imburrare e infarinare uno stampo e versarvi il composto.
Cuocere in forno già caldo a 180°C per un'ora o fino a doratura.
Lasciar raffreddare, sformare e spolverizzare con zucchero a velo.
Sempre una grande emozione tradiscono i tuoi articoli e con essi anche le tue ricette!
RispondiEliminaA me questi tre anni a Singapore hanno radicalmente cambiato le prospettive. Intanto, ho smesso di invidiare chi vive all'estero, imparando a mie spese le nuove difficoltà di un reinserimento in macro o micro società che difendono i loro equilibri e temono le novità. ho provato tanta pena per i bambini che, come Lolo, hanno imparato a non affezionarsi a nessuno e a vivere di mancanze, specialmente per quanto riguarda i nonni e i legami di una famiglia più numerosa di 2 o 3 persone. Ho visto adulti aggrapparsi a simulacri di vite finte, ancore di salvataggio per non farsi travolgere dal mare di una vita errabonda, senza legami profondi, senza radici. E qui, in particolare, ho visto anche famiglie sgretolarsi di fronte all'amante locale, che ha bevuto nel latte che l'uomo occidentale è ricco -e in una società in cui il denaro occupa tutti i primi posti della scala dei valori, questa equazione ha un peso molto maggiore che altrove. Nello stesso tempo, non tornerei più indietro, anzi: non voglio proprio tornare, consapevole della fatica che mi costerebbe adattarmi a orizzonti chiusi, di luoghi e di persone. Per cui, cerco di considerare questa svolta con gli occhi di una adulta, che sa che non esiste il tutto buono e il tutto cattivo, barcamenadomi fra nostalgie e mancanze, nuove conoscenze e nuove esperienze. La mia cucina che profuma di pandan e di basilico è il paradigma di questo sforzo, verso un nuovo equilibro. Ma ti capisco, oh se ti capisco....
RispondiEliminatu non sei una semplice foodblogger, perché i tuoi post sono ricchissimi di emozioni che vanno oltre a quelle culinarie...
RispondiEliminami soffermo però proprio sul dolce che hai ricettato: non l'ho mai assaggiato, e mi ha sempre ispirato tanto, solo che la ricetta mi pare un tantino troppo difficoltosa per una cuoca scrausa come me