Quell'albero della famiglia delle acacie, una nuvola di fiori arancione intenso, dalla forma simile a quella dell'orchideae mi attrasse dal primo sguardo come ferro verso una calamita. Non sapevo ancora che l'avrei incontrata li.
-Come si chiama quest'albero?- chiesi al contadino con il mio spagnolo allora ancora un po' incerto.
-Malinche-rispose.
-E cosa significa?- domandai come sempre curiosa di tutto ciò che mi circonda.
-E cosa significa?- domandai come sempre curiosa di tutto ciò che mi circonda.
-Malinche, la traditrice del popolo indigeno.
Così fu il mio primo "incontro" con questa donna straordinaria.
Così fu il mio primo "incontro" con questa donna straordinaria.
In quei tempi in cui nessuno ancora aveva Internet in casa, Malinche mi portò subito in biblioteca, tra testi messicani e non per scoprire questo personaggio storico, emblematico e controverso.
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La Malinche, conosciuta anche come Malintzin, (che significa in nahuatl Flor Marina, Fiore Marino, in italiano) e battezzata poi in spagnolo Doña Marina, visse tra il 1496 e il 1531, fu una donna indigena originaria dell'Istmo di tehuantapec, che era all'epoca la "frontiera" tra l'impero Maya e quello Azteca.. Dopo la morte di suo padre, gran signore e membro della nobiltà azteca, sua madre si sposò di nuovo e perchè non ci fossero dispute sull'eredità, vendette sua figlia Malinche, come schiava ad una carovana Maya di passaggio, diretta alla provincia di Tabasco e fu poi donata come schiava al conquistador Hernàn Cortès, insieme ad altre diciannove schiave, come regalo di pace.
Bella, seducente e brillante, Malinche imparò rapidamente lo spagnolo e grazie alle sue conoscenze geografiche e le sue abilità linguistiche, divenne fida consigliera di Cortés e poi la sua amante e con il quale ebbe un figlio, Martìn.
Venne chiamata "la lingua" perchè durante la guerra tra indigeni e spagnoli e la conquista del territorio, lei servì da interprete, conoscendo bene il Nahuatl (la sua lingua materna Azteca), il Maya e lo Spagnolo. malinche fu presente in tutte le negoziazioni tra Cortés e gli imperatori mesoamericani, nelle quali cercò sempre di preservare dei vantaggi agli indigeni ed contribuì alla ricostruzione e reorganizzazione dell'impero messicano sotto la dominazione spagnola.
Tuttavia, vituperiata dalla storia nazionalista messicana, Malinche è considerata una traditrice e complice della caduta dell'impero Azteca.
Tuttavia, vituperiata dalla storia nazionalista messicana, Malinche è considerata una traditrice e complice della caduta dell'impero Azteca.
Nell'immaginario messicano la Malinche rappresenta un doppio simbolismo: il tradimento e la donna violentata. Infatti, un altro nome con cui la si chiama è La Chingada, che significa "la violentata". Ma nel linguaggio popolare dello spagnolo messicano, questa è una parola ambigua, che cambia di senso secondo il tono in cui la si pronuncia. El verbo Chingar esprime un'azione violenta. Figlio della Chingada, ossia figlio di Malinche, è il peggior insulto per chiunque in Messico, paragonabile a "hijo de puta" per gli spagnoli. Mentre per gli spagnoli la vergogna massima è l'essere figli di una donna che si da di sua volontà per danaro, per i messicani invece il disonore consiste nell'essere figli di una donna violentata, forzata.
Infine, il verbo chingar è anche usato nella logica di vincitori e vinti. Si dice ya chingué, per dire ho vinto, me chingaron, per mi hanno sconfitto e soy un chingòn per esprimere sono un vincitore, probabilmente riferito alla storia di guerra tra indigeni e spagnoli e al fatto che si crede che Malinche abbia tradito il suo popolo aiutando Cortés a comprendere i codici dell'epoca per meglio vincere la guerra.
Malinche incarna l'immagine della donna individualista e pragmatica, colei che utilizzò la sua inteligenza a beneficio proprio, con il fine di ottenere il potere, rimanere accanto al suo amanto ed essere dalla parte dello straniero vincitore. Ecco perchè il termine spagnolo-messicano "Malinchista" è riferito a colui che è contagiato da tendenze straniere ed eccessivamente servile verso lo straniero, a scapito delle proprie origini.
Il premio Nobel per la letteratura Octavio Paz cercò negli anni cinquanta di riscattare la figura della Malinche descrivendola come vittima e non vincitrice, l'incarnazione di una donna usata, sfruttata, sedotta e poi abbandonata. Per lui La Malince simbolizza il passato e l'origine dei messicani, così come la loro negazione ad accettare le loro radici. Lo scrittore Carlos Fuentes riprende poi negli anni novanta questo discorso, per lui La Malinche è la madre simbolica del primo bambino di sangue spagnolo e indigeno, il primo messicano, e la ringrazia di aver dato origine a questa nuova casta di sangue mischiato. Come Paz, Fuentes si dichiara figlio della Malinche, nel senso di figlio di genitori spagnoli e indigeni e scrive che il conflitto tra le due culture ormai non esiste più. Malinche "partorì parlando la nuova lingua che imparò da Cortés, la lingua spagnola, lingua della ribellione e della speranza, della vita e la morte, che si sarebbe trasformata nel legame più forte tra i discendenti degli indios, europei e negri dell'emisfero americano".
Ripudiare la Malinche, significa quindi, secondo Fuentes, respingere e rifiutare le proprie origini.
Eppure La malinche resta ancora al giorno d'oggi la Chingada, la traditrice individualista nell'occhio del messicano di qualsiasi ceto sociale.
Quando scrissi all'epoca un saggio su questo personaggio, mi chiesi come sarebbe il suo ricordo se fosse stato un uomo, il fido collaboratore e "la lingua" del Conquistador. Nelle conclusioni personali, vidi Malinche come la vittima di quel machismo tanto radicato in Messico come nella maggior parte dell'America Latina, dove la donna deve essere casta, abnegata, sopportatrice, sofferente, sottomessa e docile. Per me a quel tempo, il ripudio verso Malinche era il simbolo della donna oppressa, schiava domestica e sessuale il cui destino doveva essere solo per la casa e per i figli, e l'incarnazione del rigetto violento, troppe volte ancora oggi presente, della donna che cerca l'equità, della donna inteligente che studia e che lavora.
Oggi, rileggendo e rianalizzando i testi e riprendendo questo personaggio storico talmente emblematico ed interessante, lo vedo con altri occhi. Ora vedo La Malinche come la madre dell'interculturalità latinoamericana, un personaggio d'ibridismo culturale, che seppe adattarsi al cambiamento con il fine di sopravvivere, destino che condivise con il suo popolo.
Ad una donna che comprendeva e interpretava i codici e le lingue di diverse culture non può assolutamente essere assegnato lo status di donna violentata e manipolata, vittima del conquistatore e non può essere condannata per la sua apertura di spirito e la sua vocazione di comunicatrice.
Malinche rappresenta la comunicazione multiculturale, mediatrice brillante tra l'America Messicana e l'Europa Iberica. È la figura per eccellenza della comunicazione verso l'esterno, fondatrice della diversità e del dialogo multiculturale e del globalismo culturale.
Credo fermamente che Malinche sia una figura da esplorare per meglio comprenderne la complessità e restituirle il posto che merita nella storia.
A lei, i miei omaggi.
Bibliografia:
Azteca, di Gary Jennings
Malinche, la gran calumniada, di Otilia Meza
El espejo enterrado, di Carlos Fuentes
El laberinto de la soledad, di Octavio Paz
El corazòn de piedra verde, di Salvador de Madariaga
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Il premio Nobel per la letteratura Octavio Paz cercò negli anni cinquanta di riscattare la figura della Malinche descrivendola come vittima e non vincitrice, l'incarnazione di una donna usata, sfruttata, sedotta e poi abbandonata. Per lui La Malince simbolizza il passato e l'origine dei messicani, così come la loro negazione ad accettare le loro radici. Lo scrittore Carlos Fuentes riprende poi negli anni novanta questo discorso, per lui La Malinche è la madre simbolica del primo bambino di sangue spagnolo e indigeno, il primo messicano, e la ringrazia di aver dato origine a questa nuova casta di sangue mischiato. Come Paz, Fuentes si dichiara figlio della Malinche, nel senso di figlio di genitori spagnoli e indigeni e scrive che il conflitto tra le due culture ormai non esiste più. Malinche "partorì parlando la nuova lingua che imparò da Cortés, la lingua spagnola, lingua della ribellione e della speranza, della vita e la morte, che si sarebbe trasformata nel legame più forte tra i discendenti degli indios, europei e negri dell'emisfero americano".
Ripudiare la Malinche, significa quindi, secondo Fuentes, respingere e rifiutare le proprie origini.
Eppure La malinche resta ancora al giorno d'oggi la Chingada, la traditrice individualista nell'occhio del messicano di qualsiasi ceto sociale.
Quando scrissi all'epoca un saggio su questo personaggio, mi chiesi come sarebbe il suo ricordo se fosse stato un uomo, il fido collaboratore e "la lingua" del Conquistador. Nelle conclusioni personali, vidi Malinche come la vittima di quel machismo tanto radicato in Messico come nella maggior parte dell'America Latina, dove la donna deve essere casta, abnegata, sopportatrice, sofferente, sottomessa e docile. Per me a quel tempo, il ripudio verso Malinche era il simbolo della donna oppressa, schiava domestica e sessuale il cui destino doveva essere solo per la casa e per i figli, e l'incarnazione del rigetto violento, troppe volte ancora oggi presente, della donna che cerca l'equità, della donna inteligente che studia e che lavora.
Oggi, rileggendo e rianalizzando i testi e riprendendo questo personaggio storico talmente emblematico ed interessante, lo vedo con altri occhi. Ora vedo La Malinche come la madre dell'interculturalità latinoamericana, un personaggio d'ibridismo culturale, che seppe adattarsi al cambiamento con il fine di sopravvivere, destino che condivise con il suo popolo.
Ad una donna che comprendeva e interpretava i codici e le lingue di diverse culture non può assolutamente essere assegnato lo status di donna violentata e manipolata, vittima del conquistatore e non può essere condannata per la sua apertura di spirito e la sua vocazione di comunicatrice.
Malinche rappresenta la comunicazione multiculturale, mediatrice brillante tra l'America Messicana e l'Europa Iberica. È la figura per eccellenza della comunicazione verso l'esterno, fondatrice della diversità e del dialogo multiculturale e del globalismo culturale.
Credo fermamente che Malinche sia una figura da esplorare per meglio comprenderne la complessità e restituirle il posto che merita nella storia.
A lei, i miei omaggi.
Bibliografia:
Azteca, di Gary Jennings
Malinche, la gran calumniada, di Otilia Meza
El espejo enterrado, di Carlos Fuentes
El laberinto de la soledad, di Octavio Paz
El corazòn de piedra verde, di Salvador de Madariaga
A Malinche dedico uno dei piatti tipici della regione di Tabasco, per essere il posto dove ha incontrato Hernàn Cortés. Oggi la ricetta si fa con il pollo, animale introdotto dagli spagnoli e attualmente molto più economico per il portafoglio dei messicani. La ricetta originale antica è andata persa, ingredienti non autoctoni come la cipolla, il chiodo di garfano e il pepe, si sono imposti nello sviluppo e cambiamento di questo piatto con il passare dei secoli. Anche la cucina messicana è cambiata integrando prodotti derivati dallo scambio culturale.
Rispetto alla ricetta originale, ho cambiato solo due ingredienti non reperibili qui.
Pavo (tacchino) en Chirmole
Ingredienti per 8 persone:
olio di mais
2 kg di filetto di tacchino
1 rametto di epazote o coriandolo coyote (ho usato un bouquet di coriandolo fresco normale)
2 spicchi d'agio
1 cipolla
4 chile ancho (ho usato peperoncino fresco delle Antille, che gli somiglia un po')
5 chiodi di garofano
6 semi di pimento, o pepe di Jamaica
6 semi di pepe nero
4 tortillas di mais, o farina di mais bianco e acqua
4 tortillas di mais, o farina di mais bianco e acqua
150 gr di semi di zucca, interi
acqua calda, quanto basta
sale al gusto
Per le tortillas non ho una ricetta ben definita, nel senso che faccio tutto ad occhio come mi è stato insegnato liggiù. La farina però deve essere di mais bianco, non tipo polenta, né fioretto, perchè non si raggiunge lo stesso risultato. Si mischia con acqua fino ad avere una consistenza tipo plastilina e si formano varie palline. Queste palline poi si appiattiscono con la parte inferiore del palmo delle mani fino ad avere una sfoglia sottilissima e perfettamente rotonda, ma è un'arte e ci vuole pratica. Una volta preparate, si cuociono sul fuoco in un comal, che è una specie di padella leggermente concava e di coccio, da ambi i lati. Il risultato dev'essere elastico, deve potersi piegare e arrotolare senza rompersi.
Il profumo delle tortillas appena fatte, vale bene l'intento di provare, se no, potete comprarle, ma che siano di mais e non di grano.
Il filetto di tacchino si taglia a pezzi e si rosola ben bene fino a dorarlo nell'olio caldo, poi si mette a parte. Le tortillas si tostano fino a quasi bruciarle. I semi di zucca si fanno tostare fino a che si gonfino, senza aggiunta di grasso e si utilizzano interi, non bisogna sbucciarli. Infine, la cipolla, l'aglio e i peperoncini vanno arrostiti sulla fiamma viva il più possibile, avendo cura però di non bruciarli.
In un mortaio si pestano bene i semi di zucca insieme alle totillas e alle spezie fino a ridurli in polvere, si aggiungono le verdure arrostite e si continua a pestare, fino a ridurre il tutto ad un compsto omogeneo e liscio. Al tutto si aggiunge acqua calda, abbastanza per ottenere un composto cremoso ma abbastanza liquido che si metterà sul fuoco in una padella abbastanza capiente fino a farlo addensare. Poi si aggiuge il tacchino, il sale e il coriandolo sminuzzato e si fa cuocere a fuoco lento fino a terminarne la cottura.
E dopo Alessandra e Daniela, Annalù e Fabio, Mapi, Flavia e Stefania, questa è la mia partecipazione alla raccolta Donne (St)raordinarie delle Strenne.
Non perdetevi domani la ricetta di Gaia , mercoledì invece appuntamento da Greta, giovedì da Mai, e venerdì da Patti.
ottimo accostamento di spezie, complimenti!
RispondiEliminaCara Eleonora, come al solito davanti ai gli scritti ed alle tue storie, io mi perdo e comincio a viaggiare con la testa. Inoltre riesci attivare degli argomenti così affascinanti che non vedo l'ora che esca il tuo prossimo post, er sapere di cosa parlerai questa volta. Meravigliosa figura quella di Malinche, che non conoscevo e che come sempre, la dove una donna diviene elemento chiave in tempi di conflitto, la storia spesso non rende giustizia. Ricetta affascinante come sempre. Un abbraccio. Pat
RispondiEliminaBellissimo post Ele e bella la figura femminile che questa donna incarna, non solo allora ma anche ai giorni nostri. Bellissima anche la ricetta!
RispondiEliminaGran bella prospettiva, Ele, complimenti. Non che avessi dei dubbi, sia chiaro :-), ma è talmente raro imbattersi in post "critici", che quando succede non ci si può trattenere dagli attestati di stima.
RispondiEliminaA maggior ragione quando si affrontano tematiche così delicate- e così tristemente collegate al mondo delle donne, come la violenza e l'emarginazione. Malinche è l'ennesima vittima, del suo essere donna, in primis e del micidiale cocktail dell'arretratezza culturale e dell'essere in avanti, rispetto ai tempi.
Anche il collegamento con la ricetta, nel segno di una realtà di cambiamento che induce a ben sperare, è una risposta popsitiva ad una memoria che si può e si deve riscattare. Io sto con Malinche, verrebbe da dire...
ale
mi hai preso per le papille stamattina!!!
RispondiEliminache forte! non conoscevo, la storia, la donna, e tutto il resto :S...come sempre!
RispondiEliminaPerò anche questo è il tuo blog, vengo per leggermi qualcosa che non so...sei megliod i una biblioteca ambulante! :D
Come sempre fai conoscere storie sconosciute ai più.
RispondiEliminaComplimenti anche per la ricetta che deve essere assolutamente gustosissima.
Bacioni
Non sai quanto sia felice di questo tema che abbiamo scelto. Ho scoperto storie nuove e interessanti che mi hanno portato a riflettere, oltre che ricette nuove che forse non sarebbero venute alla luce se non stimolate da questa ragione.
RispondiEliminaQuesta volta prolungherei il tema solo per seguire le vicende di donne (st)raordinarie come quelle che ci avete regalato!
Un bacio
Leggere il tuo blog è sempre un'esperienza e un arricchimento culturale oltre che culinario. Non conoscevo la storia di questo personaggio meraviglioso. Una donna forte e sapiente. La ricetta è veramente ottima, da noi la farina di maisi bianco si trova nei negozi etnici e il alcuni supermercati e si chiama Harina de pan
RispondiEliminaWow Ele non conoscevo questo personaggio e devo dire che attraverso el tue parole ha conquistato anche me...sei davvero favolosa tesoro riesci sempre a coinvolgermi nei tuoi racconti e nei tuoi piatti ovvimente!!Baci,Imma
RispondiEliminaMi è piaciuto un sacco ... buon inizio settimana
RispondiEliminaDi donne che non si arrendono ne sto scoprendo tantissime tramite questa iniziativa di (st)renne. Molte le *conoscevo*, molte mi si sono rivelate. Lo so che tendo a ripetermi ma, leggendoti, cresco sempre un po' di più. Grazie Eleonora!
RispondiEliminaNora
Tonta e frettolosa come sempre, mi sono dimenticata di complimentarmi per il piatto. Apprezzo gusti e preparazioni così *diverse* da quelle della mia tradizione. Peccato non riuscire a trovare gli ingredienti originali ma, a Milano, forse ... mi posso avvicinare.
RispondiEliminaBuona giornata
Nora
e se io eleggessi te come donna (ST)raordinaria?
RispondiEliminaquesta volta oltre che leggere la storia a me sconosciuta di questa donna e che mi ha fatto riflettere su come magari le cose sarebbero potute essere diverse per quel popolo senza questa "traditrice", ho respirato la magia della preparazione di questa ricetta, tostare, pestare, amalgamare, pura magia!!
grazie per aver parlato di questa figura femminile che disconoscevo e grazie per questa ricetta particolare e magica :-)
RispondiEliminaMalinche..una parola magica sembra. E nn la conoscevo assoultamente. é sempre bellissimo scoprire cose nuove, nuova storie che ci fanno sognare. Lato ricetta beh questo tacchino è super speziato! Però deve essere proprio buono e in effetti se uso pochissimo olio diventa anche adatto alla mia dieta che mi han imposto!
RispondiEliminaIo non finirò mai di apprezzare tutti questi post (st)raordinari che ci hanno portato a conoscere storie di personaggi a volte anche poco conosciuti, il tutto legato ad una ricetta e devo dire che ne sta uscendo un lavoro davvero gratificante ed appagante.
RispondiEliminaFabio
troppo belle le tue storie!
RispondiEliminaChe storia fantastica.... e che piatto ottimooooo
RispondiEliminaI nostri più sinceri complimenti per il tuo blog, pieno di cose interessanti e di ricette dal mondo, di storie straordinarie e di piatti succulenti....veramente bravissima....
RispondiEliminail nostro si chiama chiacchiere ai fornelli e se vuoi farci visita ti aspettiamo...ciao a presto
Maddalena e Manulela
Sei una vera poetessa, per un attimo mi sono sentita ribaltata in un mondo antico, le tue parole fanno sognare ... e che ricetta particolare ... queste tortillas valgono davvero la pena di essere provate. Non ho mica capito che tipo di farina usi .. io conosco la farina per polenta, quella all'antica, per intenderci, che deve cuocere per un'ora, e poi la farina di mais fioretto ... qual'è questa?
RispondiEliminache bella storia...non conoscevo malinche ma ora mi hai incuriosito...hai un modo di raccontare che coinvolge...mi piace!!...mi piacerebbe replicare il tuo piatto, mi invita moltissimo..
RispondiEliminabellissimo il post... e il piatto è delizioso!
RispondiEliminaun bacio
Lo sai che non posso mangiare il peperoncino ma ciò non toglie il fatto che devori ogni tuo post dall'inizio alla fine in modo famelico!
RispondiEliminaMaliche è assolutamente la prova de che ci sono donne un passo avanti ai suoi tempi, che però disgraziatamente vengono comprese ancora più tardi...
Credo che questo sia un post meraviglioso e che gran parte del Messico sia in questo piatto!
Besos
carissima, non ero riuscita a passare ieri, ma mi sono bevuta oggi questo bellissimo articolo su un personaggio che non conoscevo, che mi ha affascinata.
RispondiEliminamolto documentato, appassionato, coinvolgente. bellissimo.
e bellissima anche la ricetta!
per tutte le malinche del mondo (e sai quante ce ne sono...)
Un post straordinariamente interessante Ele: sono affascinata da un altro personaggio che non conoscevo ma terribilmente vitale e importante per diversi popoli... Invita ad una riflessione profonda. Grazie per avermelo fatto conoscere e per aver saputo riportare tutto ciò che di complesso e contraddittorio è legato alla sua persona. Un abbraccio
RispondiEliminaDani
I tuoi post sono sempre così avvincenti da far quasi passare in secondo piano le ricette, che sono semplicemente spettacolari. In un periodo come questo in cui ho pochissimo tempo da dedicare alla rete, presa come sono dal lavoro, mi sono ritagliata una giornata a casa apposta per leggerti con calma... e questo la dice tutta!!!
RispondiEliminaGRANDISSIMA ELE, SEI UNA DONNA (ST)RAORDINARIA!!!!